Nel mondo romano, Ostia è la città dalla quale è possibile desumere la documentazione archeologica più ampia e chiara riguardo agli horrea, edifici di immagazzinamento ai quali – nell’ambito del convegno – ci si è riferiti solo per quel che riguarda i complessi di probabile proprietà pubblica.

Un sito portuale ed annonario qual era principalmente Ostia aveva visto infatti sorgere, soprattutto nella fascia fra il Decumano Massimo e il Tevere, una serie di strutture la cui planimetria richiama in modo inconfondibile la funzione di stoccaggio: cortili porticati quadrangolari intorno ai quali si dispongono file parallele, modulari e standardizzate di cellae (vani di deposito).

Nella relazione sono stati discussi, a proposito di tali edifici ostiensi, gli aspetti della topografia e della cronologia: oggetto, quest’ultima, di controversie nella bibliografia recente, poiché alcuni studiosi tendono a far risalire l’impianto dei complessi maggiori ad età tardo-repubblicana, cioè ad un periodo assai più antico rispetto alle cronologie tradizionalmente adottate (che si estendono dall’età di Claudio a quella di Commodo, a parte gli ampliamenti severiani).

Quanto poi alla destinazione d’uso, sono stati illustrati gli elementi che inducono ad identificare alcune fra le strutture più ampie come depositi di cereali, con la conseguente, verosimile attribuzione all’iniziativa statale, finalizzata a sua volta all’annona e alle distribuzioni gratuite alla plebe romana, ma anche – più in generale – all’approvvigionamento granario giornaliero di una grande metropoli come Roma.

Ciò a prescindere da alcune recenti prese di posizione, che tendono a inquadrare in modo più sfumato il problema sia dal punto di vista del rapporto pubblico/privato, sia da quello delle merci contenute in tali horrea, che potrebbero anche identificarsi solo in parte con il grano.