a.d. VIII. IDUS MARTIAS    

DIES MULIERIS

 

 

I. Kalendis Martiis  Matronalia

(le matrone pregavano Giunone Lucina 

affinché   proteggesse matrimoni e

 i parti)

 

VI. Pridie Nonas Martias

        Festum Vestae

 

XV.  Idibus Martiis  Festum

      Annae Perennae

(Nel primo plenilunio dell’anno nuovo -

  prima di Cesare l’anno iniziava dal mese 

di marzo- i Romani sacrificavano alla dea 

Anna Perenne, come racconta Ovidio)

 

XXII. Festum Magnae Matris et Attidis 

 

(usque ad a.d.X. Kal. Apr.)

 

 

 SULPICIA

poetessa dell'età augustea

 Infine è giunto l’amore, e sarebbe per me onta

maggiore celarlo che renderlo noto a qualcuno.

Ecco, invocata dalle mie Camene,Venere citerèa

ha voluto condurlo a me e deporlo nel mio seno.

Venere ha mantenuto le promesse: narri le mie gioie

colui che si dice non le abbia mai conosciute.

Non vorrei affidare le mie parole a tavolette sigillate,

affinché nessuno le conosca prima del mio amante.

Ma il peccato mi è dolce, e disdegno atteggiare il viso per godere fama di virtù.

lSi dirà che fui d’un uomo degno di me, io degna di lui.

(Corpus Tibullianum, 111,13; trad. L. Canali)

 


 

Sai che il triste pensiero di quel viaggio è svanito dall’anima della tua fanciulla?

Ora le è consentito di essere a Roma nel suo giorno natale.

Celebriamo tutti insieme questo compleanno

che forse ti giunge quale più non speravi.

[Corpus Tibullianum, 111,15; trad. L. Canali)

 


Che io possa non essere più, o mia luce, la tua ardente passione,

come mi sembra di essere stata in questi ultimi giorni,

se in tutti gli anni della giovinezza ho commesso, stolta,

qualcosa di cui mi confessi maggiormente pentita

che dell’averti lasciato solo nella scorsa notte,

desiaerando tenerti celato tutto il mio ardore.

(Corpus Tibullianum, III, 18; trad. L. Canali)

 

 

 

Ecco un compleanno sgradito che dovrò trascorrere tristemente

senza il mio Cerinto in una tediosa campagna.

Che cosa v’è di più dolce della città? O forse si convengono a una fanciulla

un casolare e il gelido fiume che scorre nell’agro aretino?

 Férmati alfine, o Messalla, che troppo ti preoccupi di me;

spesso, o mio congiunto, i viaggi non sono opportuni.

Anche se tu non permetti che agisca secondo la mia volontà,

pur condotta via, qui lascio l’anima e i sensi.

(Corpus Tibullianum, 111,14; trad. L. Canali)


Non senti, o Cerinto, un’affettuosa premura per la tua fanciulla,

poiché la febbre tormenta ora le mie membra stremate?

Ah non bramerei certo di guarire del mio triste morbo,

se pensassi che non lo desideri anche tu allo stesso modo.

A che mi gioverebbe vincere la malattia, se tu

con cuore indifferente puoi sopportare il mio male?

Corpus Tibullianum, 111,17; trad. L. Canali)

 

 

 

A cura di Clelia De Vecchi