Fotografie di Mario Rotta [2010]

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A Itaca si va per cercare qualcosa: è inevitabile, quel nome evoca troppi riferimenti, troppa letteratura forse, almeno per chi ama o ha amato la cultura classica. In realtà, trovare oggi a Itaca tracce evidenti di ciò che l’isola è stata e del suo re Odisseo, il distruttore di città, è difficilissimo. L’isola appare per ciò che è: paesi piccolissimi, di poche case colorate, tavolini sul molo, atmosfera pigra, nomi omerici dappertutto, o meglio, su tutti i manifesti e le insegne dei ristoranti. Per il resto c’è un busto dedicato a Odisseo davanti alla porta del municipio, e ciò che resta di una grotta delle Ninfe abbandonata su un pendio, qualche barca sotto gli ulivi, che sembra lì da millenni, qualche resto bizantino, magari su pietre non si sa quanto più antiche. L’isola, probabilmente, non piacerebbe ai filologi. Eppure è splendida, e tornarci è sempre un’emozione. Non si può fare a meno di pensare che le trasparenze di quel mare sono le stesse di allora, che i ciottoli e le pietre delle spiagge furono calpesatati da Atena nelle sembianze di Mentore, e che quel paesaggio è eterno, non è cambiato in nulla da allora: il cielo, il mare, gli ulivi, le pietre. Itaca è una visione di ciò che portiamo con noi, l’immagine di ciò che riusciamo a vedere rileggendo con la mente le pagine che amiamo. Non è soltanto un luogo, è una metafora, un profilo che appare lontanissimo alle prime luci dell’alba, anche se è proprio lì, si può quasi toccare, e allo stesso tempo lasciare che sia solo la nostra immaginazione a definirlo. Aveva ragione quel grande poeta greco moderno che è Costantino Kavafis: sempre devi avere Itaca nel cuore…